L'IMPRESA PROATTIVA

di Alessandro Monti Caos Management

Cosa significa essere un'impresa proattiva?

Grandezza caratteri: piccoli | medi | grandi

La definizione "Economia Globale" non facilita la corretta lettura dei nuovi metodi e strumenti di analisi del complesso sistema delle imprese.
Chi afferma che al capitalismo non è stata trovata ancora un'alternativa non si rende conto di stare già nel futuro.
"Il futuro entra in noi, modificando il nostro ambiente, molto prima che ne possiamo cogliere i segni più evidenti" (Rainer Maria Rilke).

Il problema delle imprese e delle organizzazioni in generale è quello di individuare i "segnali deboli" provenienti dallo scenario competitivo per coglierne prontamente delle opportunità da tramutare in vantaggio competitivo. Ma qual è il "segnale debole" più significativo ed attuale?
Senza dubbio alcuno il mancato sfruttamento del capitale intellettuale, primo tra le risorse intangibili (asset intangibili o beni soft) a non essere adeguatamente sfruttato e valorizzato. E' per questo che il capitalismo è stato già superato. A meno che, per capitale, non si intenda un'integrazione fra quello patrimoniale e quello "intangibile" (di cui il capitale intellettuale fa parte).

Chi ha, già da un decennio, saputo cogliere i segnali deboli (Amazon, Microsoft) ha potuto organizzare la propria impresa considerandola non più un "meccanismo" gestito dalle relazioni "causa-effetto", bensì, un "sistema intelligente" capace di interagire con l'ambiente in modo proattivo superando la semplice "reattività di conseguenza" ai feedback esterni ed interni all'organizzazione.
In questo senso lo stesso "ciclo di Deming", pane per i consulenti che si occupano dei sistemi qualità (e citato anche apertamente dalla vision 2000), appare fortemente datato poiché trasmette il seguente messaggio fallace: "interpreta le informazioni di ritorno dal mercato, tramutale in piani di miglioramento e restituisci al mercato il prodotto/servizio, pianificato, del tuo miglioramento".

Perchè fallace? Lo è poiché non tiene conto dell'elemento proattivo che caratterizza le organizzazioni all'avanguardia; fattore, questo, che consente di condizionare il mercato non più costituito dai soli clienti ma da tutti quegli stakeholder (comunità, istituzioni, fornitori, opinion leader, azionisti, media, dipendenti...) che possono generare casuali e positivi riflessi sul business dell'organizzazione.
Per questa serie di motivi "l'organizzazione proattiva", per migliorare la propria competitività, propende per la definizione di una mappa strategica che chiarisca "come fare" a guidare quel business (nell'ambito della vision, della mission e della strategia condivisa) ed affidando il "cosa fare" e il "quando farlo" (coerentemente con la mission, la vision e la strategia) a personale in grado di ricalibrare continuamente e con flessibilità i processi operativi. Questa strada è preferita al classico "business plan" basato sulle relazioni causa effetto.

(L'articolo continua sotto al box in cui ti segnaliamo che alla collana di libri QualitiAmo si è aggiunto un nuovo titolo).

LA COLLANA DEI LIBRI DI QUALITIAMO

"La nuova ISO 9001:2015 per riorganizzare, finalmente, l'azienda per processi" - Si aggiunge alla collana dei libri di QualitiAmo il primo testo che svela i segreti della futura norma.
Dalla teoria alla pratica: il secondo lavoro di Stefania Cordiani e Paolo Ruffatti spiega come migliorare la vostra organizzazione applicando la nuova norma attraverso i suggerimenti del loro primo libro
(Vai all'articolo che descrive il nuovo libro)

"Organizzazione per processi e pensiero snello - Le PMI alla conquista del mercato" - Da una collaborazione nata sulle nostre pagine, un libro per far uscire le PMI dalla crisi.
L’ideatrice di QualitiAmo e una delle sue firme storiche spiegano come usare con efficacia la Qualità.
(Vai all'articolo che descrive il primo libro)

(Vuoi restare aggiornato gratuitamente sulla nuova ISO 9001:2015? Visita ogni giorno la pagina che ti abbiamo linkato.
In calce all'articolo riporteremo quotidianamente un aggiornamento sulla futura norma)

A questo proposito Henry Mintzberg sostiene che il futuro non è una funzione lineare del presente e del passato.
L'errore che spesso si continua a fare è quello di misurare il futuro con metri inventati nel passato. Il problema è nella cultura occidentale che, a differenza di quella orientale, vede l'esistenza del caos all'origine dei tempi (il big bang) e ha fiducia in una situazione determinata e ordinata del proprio futuro (determinismo). Gli orientali, invece, vedono il caos in ogni situazione. Ecco il vero pericolo cinese.

Tale approccio, che sembra una provocazione ma è già il modo di organizzare le risorse in alcune tra le aziende leader nel mondo, non è che la dimostrazione che le organizzazioni sono attualmente sottoguidate e sovragestite è che le imprese, come afferma Franco d'Egidio, devono passare da "habilis" a "sapiens sapiens".
L'impresa "habilis", infatti, ha il più delle volte una pesante struttura gerarchico-funzionale ricca di "job description" che contribuiscono a favorire la deresponsabilizzatone, l'apatia e l'assenza di amor proprio da parte del personale. E' in grado di gestire, magari con efficienza, il business presente ma è minata nelle fondamenta ed è destinata a scomparire o a degradare se non è in grado di valorizzare la conoscenza e di virare decisamente verso una "learning organization" concepita orizzontalmente e "spalmata" sui processi. Le organizzazioni possono avere un futuro solo se si trasformano in "sapiens sapiens", in sistemi governati dall'intelligenza così da divenire non solo gestibili ma soprattutto guidabili.

La differenza fra la teoria meccanicista/determinista che, applicata alle scienze economiche, ha prodotto le organizzazioni gerarchico/funzionali, è che la vecchia "macchina azienda" poteva essere quasi totalmente controllata mentre il "sistema intelligente" (impresa sapiens) può essere solo stimolato ed ispirato. Quindi stimoli ed iniziative (guida) al posto di dettagliate istruzioni (gestione).

Se c'è una risorsa disponibile in dosi massicce nelle aziende è l'informazione. Ma l'organizzazione/macchina non può trasformare le informazioni in "conoscenza" se prima non diventa intelligente.

Nell'impresa "sapiens" (organizzazione/sistema intelligente) è fondamentale rendere operativa la strategia. In questo senso diviene fondamentale la misurazione dell'intangibile ovvero di quelle informazioni "soft" quali l'incremento dell'apprendimento o della soddisfazione del Cliente.
Tuttavia il management, spesso, da più valore a una ricerca di marketing che evidenzia la perdita di quote di mercato (segnali forti) piuttosto che ad una serie di informazioni provenienti da conversazioni con i Clienti (segali deboli). Con la differenza che queste ultime ci possono davvero aiutare a tastare il "polso" della situazione ed a rendere operativa la strategia mentre il primo dato (perdita quota di mercato) come tutte le informazioni aggregate, rischia di attivare delle strategie scollate dalle reali esigenze operative.

Proprio perchè le strategie sono, per definizione, delle entità dinamiche, non possono basarsi solo sui dati aggregati che sono il frutto di dati storici e poco ci dicono sulle parti che le compongono.
La mancata valorizzazione e interpretazione dei segnali deboli è uno dei motivi, studiato anche da Norton e Kaplan, che rende inattuate o teoriche gran parte delle strategie aziendali.

L'organizzazione che vuole davvero "fare la svolta", deve essere convinta che il valore della conoscenza aumenta all'aumentare delle persone che la condividono. Siamo, infatti, in un'era di abbattimento del valore dell'informazione (over information age) poiché questa è disponibile in tempo reale in tutto il mondo e in quantità enorme (migliaia di miliardi di byte, decine e decine di terabyte). Il suo costo diventa effimero.
Non a caso le grandi società che facevano delle informazioni commerciali il loro "core business" (come la Dun & Bradstret, SEAT ) hanno dovuto differenziare e diversificare la loro offerta per rimanere competitive.

Le organizzazioni possiedono informazioni addirittura in maniera eccessiva. Si stima che ogni 5 imput informativi tre ne vadano persi. Il reale vantaggio competitivo di un'organizzazione è dato dal valore della conoscenza".

La conoscenza attinge alle informazioni ma è realmente (e solamente) generata dall'intelligenza unita alla cultura delle persone. Ecco perché l'economia della conoscenza è costituita da "attori" (le organizzazioni formate da individui) che hanno la capacità di combinare e commercializzare il know how. Ciò vuol dire che per competere le aziende devono saper sfruttare immediatamente le informazioni e trasformarle in comprensione/giudizio e azione.

L'azienda si basa su know how che la distingua dai concorrenti e non su informazioni disponibili per tutti. Ma occorre sbarazzarsi di alcune incrostazioni concettuali, quali il classico concetto della concorrenza.
Abbiamo sempre studiato la concorrenza come un fenomeno destinato ad erodere i profitti delle aziende di un certo mercato. Infatti la concorrenza si manifesta, secondo l'accezione classica, quando si realizza un vantaggio competitivo; la compresenza di più imprese che forniscono la medesima soluzione assorbe l'iniziale vantaggio. Ma nell'economia della conoscenza la concorrenza si manifesta in un altro modo.

Il fatto è che obiettivamente difficile imitare la gestione lo sviluppo e l'armonizzazione di asset intangibili ovvero della conoscenza. Chi riesce a creare innovazione, tramite la valorizzazione della conoscenza, è in grado di "crearsi" un proprio mercato (o una nicchia del medesimo) e ad ottenere un vantaggio competitivo finchè non sopravviene un altro attore che è in grado di creare un nuovo mercato più attraente del nostro.
Si pensi ai microchip che hanno sostituito i transistor. Un esempio che ci riguarda da vicino potrebbe essere l'apprendimento a distanza che sostituisce la classica formazione in aula. Ecco una caratteristica della nuova accezione di concorrenza: la concorrenza "vincente" non avviene sul proprio mercato ma attraverso un'invenzione, un'idea, un business che si sostituisce al proprio (videoconferenze che si sostituiscono ai viaggi di lavoro).

Gli asset intangibili sono beni radicati negli individui che formano l'organizzazione. Non esiste una conoscenza dell'organizzazione ma solo una capacità di guida della medesima. L'organizzazione non ha conoscenza la può solo ispirare. La conoscenza possiede la caratteristica della non sottrattività, ovvero arricchisce chi la riceve senza impoverire chi ne fa dono. E' solo una conoscenza radicata nell'organizzazione (ma non dell'organizzazione) che consente alla medesima di "essere pronta" al domani piuttosto che prevederlo (vista la fallacità delle previsioni aziendali). L'organizzazione in grado di guidare la conoscenza è capace di porre le coordinate per muoversi in uno scenario competitivo che è più un paesaggio con nebbia che una foto da satellite con cielo sereno.

Esempi dello spostamento del valore dai beni "hard" a quelli "soft" (assett intangibili):

  • Alan Greenspan (Federal Reserve) rileva che il PIL USA espresso in tonnellate di beni prodotti, si è ridotto del 5% dal 1977 ad oggi. D'altra parte il suo "valore" è cresciuto da 8,7 dollari per unità di peso a 14,7 dollari. Insomma si è passati da beni "pesanti" a beni "pensanti"
  • Dall'analisi della bilancia dei pagamenti USA l'export di più alto valore è intangibile. Si tratta di royalty, licenze e brevetti per 41 miliardi di dollari (solo 30 mld vale quello del settore aereospaziale)
PER SAPERNE DI PIU':
Su QualitiAmo non sono presenti altri articoli su questo argomento