SE NON "DISTURBATE" NESSUNO, NON STATE FACENDO QUALITA'
La qualità non è indolore e, prima di diventare cultura, crea delle resistenze

In alcune organizzazioni c'è un'idea bizzarra della qualità, una sorta di illusione che porta a pensare che implementare un sistema di gestione possa essere un processo indolore, un percorso lineare fatto di procedure ben scritte e moduli compilati correttamente.
Niente di più lontano dalla realtà. La vera qualità, quella che trasforma le organizzazioni e genera valore reale, è intrinsecamente "disturbante", almeno all'inizio, prima di trasformarsi in "cultura".
Pensate a un medico che deve correggere una frattura mal consolidata. Prima di poter ricomporre l'osso correttamente, deve rompere il tessuto osseo malformato. È un processo doloroso ma necessario per un recupero completo. La qualità opera allo stesso modo: per correggere processi inefficienti o comportamenti disfunzionali, deve prima "rompere" gli schemi esistenti.
Da qui le resistenze che emergono da parte delle persone proprio perché la qualità:
- mette in discussione pratiche consolidate (il famoso "l'abbiamo sempre fatto così")
- richiede di ammettere errori e inefficienze
- costringe le persone a uscire dalla propria zona di comfort
- distribuisce responsabilità e potere decisionale
La conformità non basta perché potrebbe trattarsi di un intervento di maquillage ben fatto che si limita a nasconde le imperfezioni. Il miglioramento reale, invece, è un intervento che risolve il problema alla radice. Se la conformità si preoccupa soprattutto di soddisfare i requisiti sulla carta, il miglioramento reale richiede che la qualità diventi una reale abitudine. E cambiare le abitudini è sempre un processo che genera attrito. La conformità può essere ottenuta con direttive dall'alto, checklist e procedure imposte. Il miglioramento reale richiede un cambiamento culturale profondo che parte dalla mentalità delle persone e si riflette nei comportamenti quotidiani. E, come ogni investimento importante, anche la qualità ha un prezzo. Non si parla solo di risorse economiche, ma di:
- tempo dedicato alla formazione e alle modifiche dei processi
- energia emotiva per gestire resistenze e conflitti
- disponibilità a rimettere in discussione certezze consolidate
- coraggio di affrontare problemi nascosti o ignorati
È come ristrutturare una casa mentre ci si vive dentro: il disagio è inevitabile, ma il risultato vale lo sforzo.
Se attorno a voi, colleghi della qualità, non ci sono voci critiche sul sistema, tutti annuiscono alle riunioni e quasi nessuno solleva dubbi o perplessità, è il momento di preoccuparvi. Un consenso troppo facile spesso nasconde:
- paura di esprimere il dissenso
- disinteresse verso il miglioramento reale
- sistema qualità ridotto a puro esercizio burocratico
- mancanza di coinvolgimento autentico
La qualità autentica genera dibattito, stimola il confronto, provoca discussioni costruttive. È proprio attraverso questo "rumore di fondo" che si manifesta la vitalità di un sistema di gestione efficace.
Le persone che la qualità deve "disturbare"
Immaginate un lago con l'acqua perfettamente immobile. Sembra una scena idilliaca, vero? Ma quest'acqua stagnante potrebbe nascondere un ecosistema in declino. Allo stesso modo, un'organizzazione troppo "tranquilla" è spesso sintomo di stagnazione. Una qualità efficace deve agire come un sasso lanciato in questo lago, creando onde concentriche che raggiungono e "disturbano" i diversi attori dei processi.
La direzione spesso si trova in una posizione privilegiata che può diventare una gabbia dorata. La qualità può trovarsi a:
- sfidare le strategie consolidate se non sono supportate dai dati
- presentare dati scomodi che evidenziano problemi di performance
- proporre cambiamenti che possono anche richiedere investimenti e coraggio
- mettere in discussione modelli di leadership obsoleti
Con i ruoli più operativi, il discorso non cambia perché, spesso, le persone sviluppano nel tempo modalità di lavoro che considerano ottimali e alla qualità spesso tocca:
- dimostrare che "più veloce" non significa sempre "meglio"
- introdurre nuovi standard che richiedono un certo riadattamento
- promuovere la rotazione delle mansioni per sviluppare una certa versatilità
- incoraggiare il problem solving invece di una mera esecuzione meccanica
Per quanto riguarda i proprietari di processo, invece, possono sviluppare una sorta di "gelosia territoriale" e comportarsi nei confronti dei loro processi come guardiani gelosi del proprio dominio. La qualità, in questo caso, può trovarsi a dover sottolineare:
- le interdipendenze tra i diversi processi
- la necessità di una collaborazione
- il bisogno di una maggiore trasparenza e condivisione delle informazioni
- una visione sistemica che vada oltre i confini di un processo
Anche le relazioni consolidate con i fornitori possono trasformarsi in routine che limitano l'innovazione. La qualità, in casi come questo, dovrebbe:
- introdurre nuovi parametri di valutazione delle performance
- richiedere standard più elevati di qualità e servizio, quando è il caso
- stimolare proposte di miglioramento
- mettere in discussione partnership che non si evolvono
E i clienti? Persino loro vanno "disturbati", nel senso positivo del termine. Con loro la qualità può ritrovarsi a:
- sfidare le aspettative tradizionali per offrire valore aggiunto
- coinvolgerli attivamente nel processo di miglioramento
- anticipare esigenze future invece di limitarsi a soddisfare quelle attuali
Il "disturbo" costruttivo che la qualità porta in un'organizzazione non ha niente a che fare con il caos ma serve a generare la tensione creativa necessaria per il miglioramento continuo. Sta a chi fa il nostro lavoro dosare questo "disturbo" con saggezza, sapendo quando e come intervenire per massimizzare l'impatto positivo e minimizzare le resistenze.
Anatomia del "disturbo costruttivo"
"Il caos è una scala" si diceva in "Game of Thrones" e, anche nella qualità, non tutte le azioni di disturbo sono uguali. Sta al responsabile qualità saper riconoscere e promuovere il disturbo che genera un reale miglioramento e distinguere tra un conflitto produttivo e il semplice caos. Un conflitto produttivo si riconosce perché:
- è focalizzato sui processi, non sulle persone
- genera proposte concrete invece di lamentele sterili
- stimola il pensiero critico e la ricerca di soluzioni
- mantiene una direzione chiara verso gli obiettivi
Il caos, invece, si manifesta quando:
- le discussioni degenerano in attacchi personali
- le resistenze bloccano ogni tentativo di cambiamento
- manca una visione condivisa degli obiettivi
- l'energia viene dispersa in conflitti improduttivi
Il quality manager moderno è come un regista che deve gestire scene complesse con attori diversi. Il suo ruolo è quello di:
- catalizzare l'energia del cambiamento verso obiettivi costruttivi
- facilitare il dialogo tra le diverse funzioni aziendali
- tradurre i requisiti della norma in opportunità di miglioramento
- bilanciare il rigore metodologico con la flessibilità operativa
Il disturbo costruttivo non è un evento ma un processo continuo che richiede pazienza, perseveranza e una chiara visione degli obiettivi. La sfida sta nel mantenere il delicato equilibrio tra stabilità e cambiamento, tra ordine e caos, che permette all'organizzazione di evolversi senza perdere la sua identità. È in questo spazio di "tensione creativa" che nascono le vere innovazioni e i miglioramenti significativi.
Strumenti per un "disturbo" efficace
Per generare un "disturbo costruttivo" che porti al miglioramento, ci servono gli strumenti giusti.
Se non l'avete mai fatto, provate a trasformare le solite riunioni in momenti di vera crescita tramite:
- il metodo dell'analisi "premorte":
- prima di iniziare a lavorare su un progetto, immaginate che sia andato male
- chiedete: "Cosa è andato storto?"
- identificate i rischi
- sviluppate contromisure preventive
- la tecnica del "giro di tavolo":
- ogni partecipante deve criticare costruttivamente la propria area
- gli altri devono trovare soluzioni
- si rovesciano i ruoli tradizionali
- si stimola la comprensione reciproca
Un altro strumento utilissimo è il feedback che, quando è utilizzato in maniera tradizionale, spesso risulta essere una medicina amara e difficile da accettare. Ecco come potete renderlo uno strumento di crescita:
- la tecnica del "feedback sandwich evoluto":
- iniziate con una domanda di auto-valutazione (ad esempio: "Quali sono secondo te i punti di forza e di debolezza del processo che coordini?")
- presentate i dati oggettivi
- aiutate la persona a cogliere le opportunità di miglioramento
- concordate azioni concrete
- il metodo delle "tre prospettive":
- chiedete cosa sta funzionando (e mantenetelo)
- informatevi su cosa non sta funzionando (e cambiatelo)
- chiedete che cosa manca del tutto (qui c'è spazio per innovare)
L'ultimo strumento che vi consigliamo è fare delle domande scomode come, ad esempio:
- "Cosa succederebbe se eliminassimo questo processo?"
- "Chi sarebbe contrario a questo cambiamento e perché?"
- "Cosa stiamo dando per scontato?"
- "Come lo spiegheresti a un bambino di 10 anni?"
- "Cosa direbbe il nostro peggior concorrente?"
- "Se dovessimo ricominciare da zero, come lo faremmo?"
Conclusioni: il coraggio di essere scomodi
Un quality manager davvero efficace deve:
- scegliere le battaglie giuste da combattere
- mantenere fermezza sugli obiettivi, flessibilità sui metodi
- costruirsi una credibilità attraverso risultati concreti
- identificare gli alleati strategici
- creare coalizioni efficaci
La vera sfida non è essere scomodi ma essere scomodi in modo costruttivo. il coraggio di rico prire questo ruolo non deriva da un tratto caratteriale ma deve essere una scelta professionale consapevole.