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Analisi dei nuovi rischi

 
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QualitiAmo - Stefania
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MessaggioInviato: Mer Lug 15, 2009 10:10 am    Oggetto: Analisi dei nuovi rischi Rispondi citando

(Fonte: PuntoSicuro)

Attraverso i materiali del dossier “Nuovi lavori, nuovi rischi” - prodotto dall'Associazione per gli Studi internazionali e comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni industriali (ADAPT) - continuiamo ad affrontare i temi relativi ai nuovi rischi e alle nuove problematiche di tutela della sicurezza nel mondo del lavoro.

Per farlo focalizziamo la nostra attenzione su uno degli interventi nel dossier, “I cosiddetti ‘nuovi rischi’ o ‘rischi emergenti’” di Michele Lepore, Docente di Diritto della sicurezza sul lavoro all’Università degli Studi di Roma “Sapienza”.

L’autore parte da alcune definizioni ricordando ad esempio che si “definisce rischio emergente qualunque rischio professionale nuovo o in aumento”.
Dove, usando le parole dell’ Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro:
- un rischio nuovo è un rischio che non esisteva in precedenza oppure un aspetto già noto da tempo che viene ora considerato un rischio alla luce delle nuove acquisizioni scientifiche o delle percezioni dell’opinione pubblica;
- un rischio si dice in aumento quando il numero dei pericoli che conducono al rischio è in aumento oppure è in aumento la probabilità dell’esposizione oppure l’effetto del pericolo sulla salute dei lavoratori si sta aggravando.

Dopo aver ricordato che alla base della trasformazione delle tipologie e dei fattori di rischio c’è ad esempio il “mutare dell’organizzazione del lavoro, la globalizzazione dei mercati, l’impiego di nuove tecnologie ed il diffondersi di processi di terziarizzazione”, l’autore si sofferma su alcune conseguenze di questa trasformazione:
- l’abbandono delle vecchie macchine ed il crescente utilizzo delle tecnologie informatiche con una “riduzione dei rischi connessi al rumore” e “un aumento dei rischi derivanti dall’esposizione a campi elettrici/elettromagnetici e dei rischi mutageni/cancerogeni”;
- “i cambiamenti tecnologici e produttivi” che “hanno fatto emergere anche i cosiddetti fattori di rischio biomeccanici con conseguente crescita delle malattie osteoarticolari e dei disturbi muscoloscheletrici, causati principalmente da movimenti e posture incongrue”;
- “l’esposizione ad alti livelli di vibrazioni trasmesse a mani ed arti superiori (VMAS) a causa dell’utilizzo di utensili manuali sul lavoro può, altresì, determinare condizioni patologiche come la sindrome del dito bianco (SDB) e la malattia di Raynaud”;
- i rischi psicosociali “collegati non tanto all’esposizione a rischi specifici e tradizionali, quanto all’organizzazione dei compiti, alle modalità di svolgimento della prestazione di lavoro e agli orari di lavoro; in altri termini, collegati al modo in cui il lavoro è pensato, organizzato e gestito”;
- i rischi derivanti dall’utilizzo di “sostanze chimiche pericolose che prima non venivano utilizzate nei luoghi di lavoro”.

In particolare i dieci principali rischi fisici emergenti, secondo l’ Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, che ha istituito un Osservatorio permanente dei rischi, sono “quelli collegati alla mancanza di movimento, all’esposizione combinata a vibrazioni e posizioni scomode, nonché all’esposizione combinata a disturbi muscolo-scheletrici e a fattori di rischio psico-sociale, alle condizioni termiche sfavorevoli, alla complessità delle nuove tecnologie, dei processi di lavoro e dell’interfaccia uomo-macchina e all’aumento generale dell’esposizione a radiazione ultraviolette durante e fuori l’orario di lavoro”.

Un’attenzione particolare meritano i cosiddetti rischi multifattoriali.
Ad esempio in luoghi di lavoro come i call center, il “personale può essere esposto a rischi multipli interagenti, come la prolungata posizione seduta davanti a scrivanie scarsamente ergonomiche, il rumore di sottofondo, cuffie inadeguate, scarso controllo del lavoro, pressione elevata sui tempi di lavoro nonché pressione mentale ed emotiva”.
Queste condizioni “possono a loro volta generare svariati problemi di salute, come disturbi muscoloscheletrici, vene varicose, disturbi del naso e della gola, disturbi vocali, affaticamento e stress lavoro- correlato”.

Il documento continua soffermandosi ancora sui problemi correlati all’innovazione tecnologica, con uso di macchine e tecnologie più efficienti e sicure, innovazione a cui però non corrisponde sempre un adeguamento idoneo delle procedure di lavoro e della formazione del personale.
Altre ricerche poi si occupano dei rischi del lavoro in ufficio focalizzando l’attenzione sulla “cosiddetta sindrome dell’edificio malato: un edificio è malato quando la maggior parte dei soggetti che soggiornano nell’edificio manifesta sintomi associabili alla permanenza nell’edificio stesso (es. malattie respiratorie, della cute, dell’apparato cardiovascolare e del sistema immunologico)”.

Sempre secondo l’Agenzia Europea, sono presenti anche rischi biologici emergenti correlati alle epidemie globali: “l’esposizione dei lavoratori a microrganismi farmaco-resistenti, i rischi collegati alla cattiva manutenzione della rete idrica e degli impianti di condizionamento dell’aria, i pericoli biologici negli impianti di trattamento dei rifiuti, l’esposizione combinata ad agenti biologici e a sostanze chimiche e la presenza di endotossine e di muffe nei luoghi di lavoro”
Riguardo ai rischi chimici emergenti, l’Agenzia Europea evidenzia, in particolare, “una crescita dei rischi connessi all’impiego, divenuto ormai frequente in molte applicazioni, di nanoparticelle e di particelle ultrafine, la continua richiesta di resine epossidiche, ad esempio, per la produzione di adesivi, vernici, ecc, l’impiego di isocinati (che sono agenti fortemente sensibilizzanti per l’asma) per la produzione di schiume, fibre e materiali isolanti per l’edilizia, lo scarico dei motori diesel, in quanto classificato, dallo IARC, come ‘probabilmente cancerogeno’ e l’utilizzo di sostanze chimiche nel settore edile e nel trattamento dei rifiuti”.
La dimensione di questi rischi può essere compresa tenendo presente che se ogni anno, nei 27 Paesi dell’Unione Europea (UE), si verificano 167 mila decessi associati al lavoro, di questi “74 mila sono collegati all’esposizione a sostanze pericolose nei luoghi di lavoro”.
E attualmente “non meno di 32 milioni di persone in Europa sono esposte a sostanze cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione (CMR), come l’amianto, la silice cristallina, la polvere di legno, i solventi organici, le ammine aromatiche, ecc”.

La parte finale dell’articolo di Lepore è dedicato ai rischi psico-sociali emergenti.
“Si stima che, nel 2005, più del 20% dei lavoratori dei 25 Stati membri dell’Unione Europea ha creduto che la sua salute fosse a rischio a causa dello stress sul lavoro” e le previsioni per il futuro dell’OMS sono ancora più nere: entro il 2020 la depressione diventerebbe “la causa principale di inagibilità al lavoro”.
L’Osservatorio dei rischi collega la crescita dei rischi psico-sociali “all’utilizzo di contratti precari in un mercato del lavoro instabile, alla maggiore vulnerabilità dei lavoratori nel contesto della globalizzazione, al ricorso a nuove forme contrattuali e all’outsourcing, alla sensazione di insicurezza del posto di lavoro, all’invecchiamento della forza lavoro, agli orari di lavoro troppo lunghi, ai ritmi di lavoro intensi, all’elevato coinvolgimento emotivo sul lavoro ed allo scarso equilibrio tra vita e lavoro”.
I rischi psico-sociali, afferma l’autore, non sono una scoperta così recente e la rinnovata attenzione per questi rischi “trova la sua ratio nel fatto che, negli ultimi anni, si è andato affermando un clima iper-prestazionale e competitivo, all’interno di una cornice lavorativa sempre più caratterizzata da mobilità, flessibilità dei contratti di lavoro e cambiamenti repentini”.
Lepore ricorda la normativa italiana, il Decreto legislativo 81/2008, che indica espressamente che la valutazione dei rischi […] deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavorocorrelato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004 […] (recepito in Italia dall’Accordo interconfederale del 9 giugno 2008).
Riguardo ai criteri ed alla metodologia di valutazione del rischio stress lavoro-correlato – conclude Lepore - questi accordi forniscono “criteri e parametri troppo generici per poter essere utilizzati con la certezza che, al contrario, merita un obbligo sanzionato penalmente”.
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